22 dicembre 2002

Campagna olearia complicata, prezzi dell’evo in aumento su tutte le piazze italiane, impatto del clima, crisi economica e costi in rialzo. 

 

Annus horribilis quello fotografato da ISMEA, l’ente pubblico italiano di studi e ricerche per il comparto  agroalimentare. Le stime produttive hanno a tutt’oggi confermato le pessimistiche aspettative paventate nei mesi scorsi attestando la produzione italiana a poco più di 200 mila ton, con un calo approssimativo del 37% rispetto all’ annata precedente, una valutazione che se confermata potrebbe far retrocedere l’Italia dal secondo al terzo posto come paese produttore mondiale.

Particolarmente significativo il crollo della produzione nelle regioni del Sud, le più colpite rispetto al resto del Paese. Mentre Toscana, Umbria e Lazio grazie all’annata di carica sembrano non essere toccate dal calo generalizzato, Puglia, Calabria e Sicilia, le tre regioni dove tradizionalmente è concentrato quasi l’ 80% della produzione nazionale hanno registrato finora cali consistenti. In Puglia, regione che di norma rappresenta quasi la metà della produzione  italiana,  i volumi raccolti risultano addirittura dimezzati rispetto alle annate precedenti oltre che  per la siccità  sicuramente anche per l’incidenza del fenomeno xylella. A seguire, non meglio la Calabria che registra più del 40% della produzione in meno, eccetto che nell’area di Reggio Calabria, e la Sicilia che riporta una riduzione di circa il 30%. Fa eccezione in questo quadro negativo,  secondo i dati di Coldiretti e Italia Olivicola, la Campania, che nonostante la siccità e le temperature elevate in fase di fioritura e allegagione, pare aver mantenuto i volumi consueti benché la raccolta ritardata e i forti attacchi tardivi di mosca ne abbiano pregiudicato i livelli qualitativi. 

In termini di produzione, analoghi risultati all’estero, dove in Spagna, primo paese produttore al mondo e principale esportatore già da qualche anno, il calo della produzione è stimato nell’ordine del 48% , con impatto inevitabile sui volumi disponibili a livello mondiale. Non meglio in Tunisia, altro paese esportatore, dove è prevista una flessione del 27%. A livello mondiale, solo la Grecia pare possa superare i livelli produttivi dello scorso anno portandosi sopra le 300 mila tonnellate, valore che le permetterebbe di superare l’Italia e di essere per quest’anno il secondo maggior produttore a livello mondiale.

Ad influire sulla produzione sia italiana che mondiale, principale fattore com’è ben noto sono state le problematiche connesse al clima, in primis la lunga siccità e le alte temperature estive, che hanno reso faticoso lo sviluppo vegetativo degli oliveti, ma anche il fatto che in molte aree a più alta vocazione olivicola come le regioni del Sud Italia, la raccolta appena iniziata era già da considerare di scarica seguendo il naturale calendario dell’alternanza

L’ impatto della scarsità del prodotto sulle quotazioni all’origine non poteva che essere  inevitabile, con costante deciso rialzo un po’ ovunque nella penisola rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ed un aumento stimato mediamente del 33,4% (dati ISMEA). Peso non irrilevante su tale rialzo tuttavia ha certamente avuto anche  il contesto economico avverso e l’aumento generalizzato dei costi di produzione (raccolta e molitura) nonché il balzo consistente dei costi energetici e degli approvvigionamenti che hanno pesantemente inciso.

Tra le piazze di riferimento, superati nel Barese i 6 euro al chilo alla produzione, cosi come negli altri areali pugliesi,   ma anche altrove le quotazioni alla produzione stanno salendo.

Prezzi all’ origine Mediamente sopra i 7 euro  in Sicilia (a Ragusa il 22 dicembre addirittura superati i 10 euro) mentre in Calabria l’olio di nuova produzione è già intorno ai 5,70 euro al chilo. Più contenuti sembrerebbero gli aumenti in Campania.

In questo scenario non idilliaco, da affiancare alla minor produzione e al conseguente aumento dei prezzi, l’aumento delle giacenze, soprattutto di olio evo, che risulterebbero maggiori del 49% rispetto all’annata precedente.

Unico dato confortante,  come sottolineato da Ismea, Unaprol e Italia olivicola, in quelle regioni dove si è raccolto prima,  il clima secco avrebbe evitato il proliferare di attacchi parassitari permettendo a molte aree dello Stivale di ottenere livelli qualitativi più apprezzabili rispetto alla norma.

GC